L’era degli ambassador

Qual è lo stato dell’arte della comunicazione interna oggi? A dieci anni da una precedente ricerca lo abbiamo chiesto alle aziende. Da questo “sondaggio” è nato un articolo pubblicato sull’edizione italiana della prestigiosa rivista Harvard Business Review

A dieci anni da una precedente ricerca abbiamo chiesto alle aziende qual è lo stato della comunicazione interna. La consapevolezza è aumentata, il cambiamento fa meno paura. E il ruolo dei dipendenti come portavoce è cruciale. Per questo servono strategie di lungo periodo, consulenti professionali e il coinvolgimento del top management. Che, purtroppo, qualche volta cede al “richiamo della foresta”.

Dieci anni fa abbiamo realizzato una ricerca sulla comunicazione interna in caso di eventi straordinari (fusioni, acquisizioni, ristrutturazioni), intitolata “Ho sentito dire che…”, la frase simbolo di quella controinformazione (oggi diremmo fake news) che si insinua quando manca una voce ufficiale.

Che cosa era emerso da quella ricerca, che coinvolgeva 25 direttori HR di aziende italiane e multinazionali? In sintesi:

  • la reazione iniziale, quando viene annunciato un evento straordinario, è di preoccupazione e disorientamento;
  • possono crearsi voci negative, che portano all’uscita dei migliori talenti;
  • comunicando, è possibile neutralizzare gli effetti negativi e promuovere gli elementi positivi;
  • come? Da subito; con risorse dedicate; in modo trasparente.

E oggi? Per capire come è cambiato il clima, abbiamo svolto una nuova ricerca, intervistando un panel di direttori HR e responsabili della comunicazione. Ecco i trend emersi.

1) Lo straordinario è diventato ordinario.

Fusioni e integrazioni sono aumentate: nel 2016 ce ne sono state 509 in Italia, record assoluto. E, quasi, sono diventate più familiari. «Ho vissuto l’esperienza sia dalla parte acquisita sia da quella acquirente», conferma un’intervistata. In qualche modo ci si allena al cambiamento e si impara a sfruttarne le opportunità. «Sono entrati nuovi siti produttivi e nuove competenze, che hanno rafforzato la nostra posizione sul mercato e quindi l’orgoglio in azienda», spiega un direttore HR. A maggior ragione, quando l’azionista è un soggetto finanziario, creato proprio per acquisire e integrare aziende, il ciclo di discontinuità e ricomposizione è costante.

2) Professionisti e ambassador.

Se dieci anni fa sopravviveva l’idea del “giornalino” artigianale, oggi è acquisito il ruolo dei consulenti specializzati. Gli strumenti diventano più sofisticati: in senso tecnologico, ma anche concettuale. «Abbiamo creato un logo che identifica tutte le iniziative di comunicazione interna, alzando l’asticella in termini di branding», commenta un’intervistata. La parola chiave è storytelling: sì è capito che il modo migliore per comunicare è raccontare storie. E che il narratore più efficace non è il top manager, ma il dipendente comune: siamo nell’era dei corporate ambassador, capaci di influenzare il loro ambiente e di pubblicare contenuti credibili sui social network. Ma chi insegna agli ambassador a parlare in pubblico e a scrivere in modo efficace? Professionisti della comunicazione.

3) Il paradosso della misurabilità.

«È un paradosso – ragiona una manager – perché istintivamente è chiaro che la maggiore diffusione delle informazioni in azienda stimola l’engagement. Gli aspetti emozionali, di partecipazione, il “voler bene all’azienda” producono risultati positivi sulla felicità e, quindi, sulla produttività. Ma è difficile dimostrarlo ex-ante». Anche se nel lungo periodo un’azienda che ha sempre comunicato bene al suo interno si ritrova con un patrimonio di credibilità e di fiducia che fa la differenza: «Il silenzio è sempre un nemico, che alimenta il rischio di perdere i migliori talenti».

4) Fermi tutti.

Eppure, in tanto engagement, resiste il vecchio vizio di rimandare il varo di un sistema di comunicazione interna a un imprecisato “dopo” in cui tutti i principali elementi strategici saranno risolti: dimenticando che è il “durante” il tempo della comunicazione, della domanda di senso. “Impostare progetti al momento non poggerebbe su basi definite: rimandiamo ogni cosa al post quotazione…”, ci ha scritto tempo fa un cliente. Peggio ancora quando, in occasione di una ristrutturazione, viene addirittura sospeso uno strumento di comunicazione, eliminando l’unico punto fermo nel cambiamento. È un riflesso condizionato, un “richiamo della foresta” (absit iniuria verbis) che scatta ancora nella testa dei “capi”. E che difficilmente qualcuno ammetterà in una ricerca.

Per la realizzazione di questo articolo sono state utilizzate – fra l’altro – le dichiarazioni di: Nicoletta Camerini, direttore HR di 2i Rete Gas; Alberto Busnelli, direttore HR di Basf Italia; Simona Cucinotta, responsabile comunicazione interna di CheBanca! e Compass; Matteo Moi, direttore HR di GrandVision Italia; Valentina Sangiorgi, direttore HR di Randstad Italia.

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