La mappa del metro di Londra: perché ci piace così tanto?

Creata nel 1937 è al tempo stesso un capolavoro di comunicazione in sé e una metafora di come la comunicazione andrebbe fatta

La metropolitana di Londra compie 150 anni. Perché la sua mappa (che di anni ne ha 76) ci affascina tanto? Me lo chiedo da molti anni e sono arrivato a due possibili spiegazioni.

La prima ha a che fare con Londra, più che con la mappa: andiamo a Londra per la prima volta (a 14 anni in una vacanza studio con la EF o in viaggio di nozze, poco cambia) e scopriamo una città differente e affascinante. Le auto con la guida a destra, le case in mattoni rossi, Portobello, Camden Town, la Tate Gallery. La mappa della metropolitana è uno di questi simboli: anzi, forse ne è la sintesi. La mettiamo nella tasca dei jeans, la portiamo a casa e le affidiamo il compito di ricordarci l’atmosfera irripetibile di Londra.

La seconda dipende proprio da una specificità dell’oggetto stesso e ne parlo qui perché ha molto  a che fare con la comunicazione. La mappa in questione, come si può vedere qui non si è fatta da sola: è la geniale intuizione di Harry Beck, un dipendente dell’Underground, che nel 1937 la realizzò assumendo alcune decisive scelte che sono a tutti gli effetti scelte di comunicazione. Dove sta la novità? La mappa di Beck – che è arrivata a noi sostanzialmente invariata – non è geograficamente esatta: il suo autore sceglie infatti di modificare le distanze e le proporzioni a favore della leggibilità. E, soprattutto, riduce le angolazioni possibili a tre: verticale, orizzontale, 45 gradi. Stop.

In sostanza, Beck fa un lavoro tipico della comunicazione (di quella buona): non serve dire tutto, basta che passi il concetto. Non serve che la linea colorata sulla cartina replichi esattamente il percorso vero (come invece avviene su qualsiasi altra mappa), basta che faccia capire quali stazioni collega.

Pur senza conoscere tutti questi dettagli, quindi, quando guardiamo la mappa vi riconosciamo (o quantomeno vi percepiamo) chiarezza e armonia, frutto di un lavoro “a cortocircuito”, di quelli che combinano elementi noti in modo nuovo e fanno sembrare semplice il risultato, ma solo dopo che è stato raggiunto.

Da un paio d’anni – e ben prima di conoscere la storia di Harry Beck – nei miei corsi di scrittura e di web content faccio vedere la mappa del metro di Londra per spiegare che cos’è un progetto editoriale. Un progetto editoriale, secondo me, deve avere un’identità immediatamente riconoscibile (come la cartina nel suo complesso, con le sue righe colorate e i suoi angoli a 45 gradi), è fatto di sezioni, ovvero di parti perfettamente sviluppate e coerenti fra di loro e al loro interno (come le linee, ognuna con il suo nome e il suo codice cromatico) che a loro volta sono composte di singole parti: gli articoli (le fermate).

Insomma, la mappa dell’Underground è una perfetta metafora della comunicazione e un capolavoro della comunicazione al tempo stesso. Ed è per questo, credo, che ci colpisce così profondamente. (L.V.)

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